Il Palazzo di Giustizia di S. Maria C. Vetere

giovedì 23 giugno 2011

Nuovo Moto Club, Mirra presidente e Corvino vice- Domani sera l'ufficializzazione


Nella serata di domani si insedia il nuovo direttivo del Moto Club che è stato votato nei giorni scorsi dai soci. Secondo le facili previsioni, il nuovo presidente sarebbe l'avvocato Antonio Mirra che attualmente ricopre la carica di consigliere provinciale. Alla sua destra siederà un altro avvocato: Gianfranco Corvino già assessore e poi presidente del Consiglio Comunale nelle due consiliature targate Enzo Iodice. Nel direttivo anche il commercialista Cicciopaolo Ventriglia, l'architetto Luigi Di Muro, l'avvocato Pierfrancesco Lugnano e gli amici Enzo Janniello e Luigi Avenia.

Da: http://politicachepassione.blogspot.com/2010/11/nuovo-moto-club-mirra-presidente-e.html
ASPETTA DUE ANNI, MA VIENE REINTEGRATA DAL GIUDICE

Con provvedimento del 18 Giugno 2010 il Tribunale di S. Maria C.V., in funzione del Giudice del Lavoro, ha rigettato il Reclamo proposto dalla Ditta che gestisce il servizio mensa nelle Case Circondariali, proposto dalla predetta ditta avverso l’ordinanza del 26 Novembre del 2009 del medesimo Tribunale, resa nel procedimento ex art. 700 c.p.c., introdotto da una dipendente che riteneva di essere stata ingiustamente licenziata. Il Tribunale sia nella fase cautelare che nella successiva fase del Reclamo ha ritenuto l’assoluta illegittimità del licenziamento operato dalla Ditta in danno della lavoratrice, sia perché contestato dopo circa due anni dalla presunta scoperta dei fatti, sia per l’assoluta infondatezza nel merito dei motivi sottesi al licenziamento, sia per l’esistenza di un evidente periculum in mora. La lavoratrice sia nel giudizio di primo che di secondo grado, è stata assistita dall’Avv. Gianfranco Corvino del Foro di S. Maria C.V., Difensore ed Avvocato di fiducia di molti Comuni ed Enti Pubblici della provincia di Caserta. Entrambi i provvedimenti del Tribunale sono estremamente interessanti in quanto affrontano la problematica della tardività della contestazione di addebito disciplinare ponendosi, quindi, quali precedenti giurisprudenziali importanti in materia.
Pubblicato da PROSPERO CECERE a 16:07

Da: http://prosperocecere.blogspot.com/2010/06/aspetta-due-anni-ma-viene-reintegrata.html

mercoledì 22 giugno 2011

SENTENZA N. 12957 DEL 14 GIUGNO 2011



PROCEDIMENTO CIVILE - PROCEDIMENTO D'APPELLO - ATTIVITA' ISTRUTTORIA - DELEGA AD UNO DEI COMPONENTI - AMMISSIBILITA' - CONDIZIONI
La Corte, innovando rispetto a propri precedenti arresti ha affermato che l’attività istruttoria svolta su delega del Collegio da uno dei suoi componenti, in violazione della regola della trattazione collegiale del procedimento che si svolge davanti alla Corte d’Appello, non si traduce tout court in un vizio relativo alla costituzione del giudice ex art. 158 c.p.c., con conseguente nullità assoluta della pronuncia, occorrendo a tal fine la specifica deduzione e il positivo riscontro che l’attività stessa abbia, in concreto, comportato l’esplicazione di funzioni, se non decisorie, certamente valutative, riservate dalla legge al Collegio.
SENTENZA N. 12408 DEL 7 GIUGNO 2011



DANNI CIVILI - DANNO BIOLOGICO - CRITERI DI LIQUIDAZIONE - APPLICAZIONE DELLE TABELLE PREDISPOSTE DAL TRIBUNALE DI MILANO - NECESSITA'
La Corte di cassazione ha stabilito che nella liquidazione del danno alla persona, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, l’adozione della regola equitativa di cui all’art. 1226 c.c. deve garantire non solo l’adeguata considerazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi. E’ intollerabile ed iniquo, secondo il giudice di legittimità, che danni identici possano essere liquidati in misura diversa sol perché le relative controversie siano decise da differenti uffici giudiziari. “Equità”, ha affermato al riguardo la Corte, vuol dire non solo proporzione, ma anche uguaglianza. Dall’affermazione di questo generale principio la Corte ha tratto la conclusione che, nei suoi compiti di giudice della nomofilachia, deve rientrare anche quello di indicare ai giudici di merito criteri uniformi per la liquidazione del danno alla persona, e tali criteri sono stati individuati nelle “Tabelle” di riferimento per la stima del danno alla persona elaborate dal tribunale di Milano, trattandosi del criterio più diffuso sul territorio nazionale. Da ciò consegue che, d’ora innanzi, sarà censurabile per violazione di legge la sentenza di merito che non dovesse applicare il suddetto criterio, ovviamente senza adeguatamente motivare lo scostamento da esso. La sentenza si segnala altresì per essersi la Corte preoccupata di indicare alcune direttive - per così dire - di “diritto intertemporale”, precisando che le decisioni di merito già depositate, e non passate in giudicato, le quali non abbiano liquidato il danno biologico in base alle tabelle del Tribunale di Milano, non saranno per ciò solo ricorribili per cassazione (per violazione di legge), se sia mancata in appello una specifica censura in tal senso, e se la parte interessata non abbia prodotto agli atti nel giudizio di appello copia delle suddette tabelle.

giovedì 16 giugno 2011

Marito cambia sesso, Corte impone scioglimento matrimonio
Il 'divorzio', senza il consenso dei coniugi, è stato deciso da una sentenza della Corte d'appello di Bologna
Lui diventa 'lei' dopo il matrimonio, e un giudice scioglie le nozze. E' la conclusione di una vicenda che era già approdata alle cronache in passato, e riportata oggi sulle pagine bolognesi di Repubblica. Il 'divorzio', senza il consenso dei coniugi, è stato deciso da una sentenza della Corte d'appello di Bologna, che ha sciolto il legame tra Alessandra Bernaroli e la moglie, unite da un matrimonio diventato 'omosex' dopo il cambio di genere (da uomo a donna) di Bernaroli.

Cambio avvenuto alcuni anni fa quando la coppia, sposata dal 2005 con nozze religiose e civili, era già coniugata. I giudici della Corte d'appello, spiega Repubblica, hanno decretato che il matrimonio deve essere sciolto con la motivazione che sarebbe venuta meno la diversità sessuale tra coniugi. Una sentenza che ha ribaltato quella del tribunale civile di Modena che, in prima istanza, aveva dato ragione a Bernaroli e consorte, negando che un funzionario dell'anagrafe potesse cancellare un legame giuridico. La coppia si era infatti rivolta ai magistrati dopo che Bernaroli aveva ottenuto il cambio di sesso sulla carta d'identità, ma l'anagrafe aveva stilato uno stato di famiglia in cui in cui i nuclei familiari risultavano distinti pur coabitando.

Per i giudici modenesi, un funzionario dell'anagrafe non poteva dividere ciò che è vincolato dalla legge, perché sarebbe stata necessaria la sentenza di un giudice. Sentenza arrivata dai magistrati dell'appello per i quali, non vi sarebbe riscontro in Italia di un matrimonio tra persone dello stesso sesso. La decisione è contestata da Bernaroli e dai suoi avvocati che ricorreranno in Cassazione.

PER RADICALI GRAVE DECISIONE CORTE BOLOGNA - "E' gravissimo quanto deciso dalla Corte d'Appello di Bologna, che ha imposto a una coppia bolognese il divorzio perché uno dei due partner ha cambiato sesso. Questo è un evidente caso di violazione dei diritti civili e umani della persona": lo afferma l'Associazione Radicale Certi Diritti, secondo la quale ci sono tutti i presupposti per presentare un ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo contro l'Italia. "Vogliamo esprimere alla coppia di Bologna tutta la nostra vicinanza e solidarietà - dicono in una nota - la nostra associazione ha già incardinato alcune iniziative giudiziarie alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo a causa di evidenti discriminazioni nei confronti di coppie dello stesso sesso e offrirà il suo aiuto e supporto anche alla coppia di Bologna. La strada per la piena uguaglianza dei diritti deve andare avanti. Il tentativo di Stato di 'normalizzazione' della coppia è un atto impositivo gravissimo e del tutto inaccettabile" concludono

mercoledì 15 giugno 2011

RESPONSABILITA' EXTRACONTRATTUALE- DIFFAMAZIONE A MEZZO STAMPA - SCRITTO ANONIMO
In tema di risarcimento del danno da diffamazione a mezzo stampa, nel caso in cui l'articolo giornalistico riporti il contenuto di uno scritto anonimo offensivo dell'altrui reputazione, l'applicazione dell'esimente del diritto di cronaca (art. 51 cod. pen.) presuppone la prova, da parte dell'autore dell'articolo, della verità reale o putativa dei fatti riportati nello scritto stesso (non della mera verità dell'esistenza della fonte anonima); con la conseguenza che, laddove siffatta prova non possa essere fornita, proprio in ragione del carattere anonimo dello scritto, la menzionata esimente non può essere applicata, anche per la carenza del requisito dell'interesse pubblico alla diffusione della notizia.

Testo Completo:
In tema di risarcimento del danno da diffamazione a mezzo stampa, nel caso in cui l'articolo giornalistico riporti il contenuto di uno scritto anonimo offensivo dell'altrui reputazione, l'applicazione dell'esimente del diritto di cronaca (art. 51 cod. pen.) presuppone la prova, da parte dell'autore dell'articolo, della verità reale o putativa dei fatti riportati nello scritto stesso (non della mera verità dell'esistenza della fonte anonima); con la conseguenza che, laddove siffatta prova non possa essere fornita, proprio in ragione del carattere anonimo dello scritto, la menzionata esimente non può essere applicata, anche per la carenza del requisito dell'interesse pubblico alla diffusione della notizia.

Sentenza n. 11004 del 19 maggio 2011

martedì 14 giugno 2011

Corte di Cassazione Civile, sezione terza - Sentenza n. 26568/2010
(Incidente Stradale - Corresponsabilità della vittima)

" l'omesso uso del casco protettivo da parte del conducente di un motociclo può essere fonte di corresponsabilità della vittima di un sinistro stradale per il danno causato a se stessa ove il giudice di merito accerti in fatto che la suddetta violazione abbia concretamente influito sulla eziologia del danno, costituendone, appunto, un antecedente causale."

La Corte, letti gli atti depositati osserva:

E' stata depositata la seguente relazione:

1 - Con ricorso notificato il 28 ottobre 2009 F. P., W. L., in proprio e quali esercenti la potestà sulla minore F. A. P., A. P., L. P., O. P. e T. P. hanno chiesto la cassazione della sentenza, non notificata, depositata in data 17 settembre 2008 dalla Corte d'Appello di Napoli che, in riforma della sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, aveva accolto solo parzialmente la loro domanda di risarcimento dei danni conseguenti al decesso in un sinistro stradale del loro congiunto D. P.

Gli intimati, Assicurazioni Generali S.p.A. e O. S., non hanno svolto attività difensiva.

2 - I due motivi del ricorso risultano inammissibili, poiché la loro formulazione non soddisfa i requisiti stabiliti dall'art. 366-bis c.p.c.

Occorre rilevare sul piano generale che, considerata la sua funzione, la norma indicata (art. 366 bis c.p.c.) va interpretata nel senso che per ciascun punto della decisione e in relazione a ciascuno dei vizi, corrispondenti a quelli indicati dall'art. 360, per cui la parte chiede che la decisione sia cassata, va formulato un distinto motivo di ricorso.

Per quanto riguarda, in particolare, il quesito di diritto, è ormai jus receptum (Cass. n. 19892 del 2007) che è inammissibile, per violazione dell'art. 366 bis c.p.c., introdotto dall'art. 6 del d.lgs. n. 40 del 2006, il ricorso per cassazione nel quale esso si risolva in una generica istanza di decisione sull'esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. Infatti la novella del 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e "virtuoso" nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimità, imponendo al patrocinante in cassazione l'obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva, valutazione della avvenuta violazione della legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico-giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione.

In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l'affermazione.

Quanto al vizio di motivazione, l'illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. Sez. Unite, n. 20603 del 2007).

3. - Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1227, 2727, 2729 c.c., nonché omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione. Il quesito finale non postula l'enunciazione di un principio di diritto fondato sulle numerose norme indicate che sia decisivo per il giudizio e, nel contempo, di applicabilità generalizzata e non costituisce il momento di sintesi necessario per circoscrivere il fatto controverso e per specificare in quali parti la motivazione della sentenza si riveli, rispettivamente, omessa, contraddittoria, insufficiente.

Il secondo motivo lamenta violazione e falsa applicazione (anche in questo caso non specificate come se si trattasse di sinonimi) degli artt. 1175 e 1227 c.c., nonché omessa, contraddittoria, comunque insufficiente motivazione.

Il quesito finale presenta i medesimi caratteri evidenziati in relazione al primo motivo.

Tuttavia ragioni di completezza impongono di rilevare, con riferimento ad entrambi i motivi, che (Cass. Sez. III, n 24432 del 2009) l'omesso uso del casco protettivo da parte del conducente di un motociclo può essere fonte di corresponsabilità della vittima di un sinistro stradale per il danno causato a se stessa ove il giudice di merito accerti in fatto che la suddetta violazione abbia concretamente influito sulla eziologia del danno, costituendone, appunto, un antecedente causale.

4.- La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti;

I ricorrenti hanno presentato memoria; nessuna delle parti ha chiesto d'essere ascoltata in camera di consiglio;

che, a seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione;

Le argomentazioni addotte con la memoria, che può solo illustrare, ma non integrare il ricorso, non superano i rilievi contenuti nella relazione e restano confermati sia il mancato rispetto dell'art. 366 bis c.p.c., sia il carattere fattuale delle due censure; la circostanza che la vittima viaggiasse senza indossare il casco è stata accertata dai carabinieri; tale fatto non è stato considerato dalla Corte d'Appello come aggravante ex art. 1227, comma 2 c.c., ma come un caso di concorso ai sensi del precedente comma 1;

5. - Ritenuto:

che pertanto il ricorso va rigettato essendo manifestamente infondato; nulla spese;

visti gli artt. 380-bis e 385 cod. proc. civ.,

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Nulla spese.
CORTE D'APPELLO DI SALERNO - Sentenza 25 giugno 2008, n. 620


PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Consiglio comunale - Cause di ineleggibilità - Azione popolare - Art. 70 T.U.E.L. - Proposizione del ricorso - Termine di trenta giorni - Natura perentoria - Esclusione - Ragioni. L’art. 82, c. 2 del d.P.R. 570/60, espressamente richiamato dall’art. 70 del T.U.E.L., dettato in materia di ricorsi elettorali, prevede che l’azione popolare per l’impugnazione delle deliberazioni adottate in materia di eleggibilità del Consiglio Comunale possa essere proposta con ricorso entro trenta giorni dalla data finale di pubblicazione della delibera. La ratio della norma non consente però di intendere tale termine come perentorio. E’ ben vero che esiste un generale interesse a che il risultato delle elezioni (frutto di scelta dei cittadini e dunque espressione della sovrana volontà popolare) abbia un consolidamento temporale che dia certezza della scelta e consenta l’ordinato svolgimento dell’attività amministrativa, ma è altrettanto vero che non può consentirsi, per il solo fatto del decorso del tempo, che il raggiungimento di dette finalità possa essere conseguito a cagione e a discapito del più alto interesse ad escludere il consolidamento di situazioni anche solo potenzialmente dannose all’Ente territoriale e alla comunità di esponenza (cfr. Cass. 3473/00; 18128/02; 14199/04; 15104/05, secondo cui ai fini della proponibilità dell’Azione popolare non esiste alcun termine di decadenza). Pres. Bartoli, Est. Crespi - D.D.R. (avv. Rago) c. L.R. (avv. Romeo) - CORTE D’APPELLO DI SALERNO - 25 giugno 2008, n. 620

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Ineleggibilità e incompatibilità - Contemporanea assunzione della carica elettiva e della carica “funzionale” - Art. 67 T.U.E.L. - Interpretazione. L’art. 67 T.U.E.L. deve essere interpretato nel senso che la contemporanea assunzione della carica elettiva e della carica “funzionale” sia giustificata qualora la seconda venga attribuita in ragione della prima nei soli casi in cui lo scopo dell’Ente funzionale coincida con interessi primari della collettività locale. Non può pertanto ritenersi che tale disposizione consenta al soggetto fisico che già ricopre una carica tra quelle elencate agli artt. 60 e 63 T.U.E.L. di accedere alla competizione elettorale in situazione di potenziale squilibrio, dato proprio dalla sua carica in seno ad Ente o Società, o anche di continuare a mantenere entrambe le cariche con ciò realizzandosi conflitto di interessi da alcunché giustificato (nella specie, il consigliere comunale al momento della candidatura e della elezione era componente del Consiglio di amministrazione di un’Azienda speciale - ente strumentale dell’Ente locale - istituita ai sensi degli artt. 113 e 114 T.U.E.L.) Pres. Bartoli, Est. Crespi - D.D.R. (avv. Rago) c. L.R. (avv. Romeo) - CORTE D’APPELLO DI SALERNO - 25 giugno 2008, n. 620

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - Materia elettorale - Potestà esclusiva statale - Art. 117, c. 2, lett. p) Cost. - Potestà regolamentare e statutaria degli Enti locali - Limiti - Introduzione di deroghe alle disposizioni in materia di ineleggibilità e incompatibilità - Potere - Carenza. Nella materia elettorale, ai sensi dell’art. 117, c.2 lett. p) Cost., residua alla potestà regolamentare o statutaria degli Enti locali solo il compito di attuare e adeguare allo specifico assetto organizzativo dell’ente disposizioni adottate dal legislatore primario. Lo statuto comunale non può pertanto introdurre deroghe a principi sanciti da norma di legge a potestà esclusiva, escludendo in maniera illegittima l’applicazione delle disposizioni relative a ineleggibilità e incompatibilità, e intervenendo in materia sottratta alla potestà regolamentare e statutaria degli Enti Locali. Senza considerare che se fosse lasciato alla discrezionalità degli Enti locali di stabilire in via autonoma siffatte deroghe, risulterebbe eluso anche il fine voluto dall’art. 51 Cost. di assicurare a tutti i cittadini “condizioni di eguaglianza nell’accesso alle cariche elettive”. Pres. Bartoli, Est. Crespi - D.D.R. (avv. Rago) c. L.R. (avv. Romeo) - CORTE D’APPELLO DI SALERNO - 25 giugno 2008, n. 620

lunedì 13 giugno 2011

SENTENZA N. 10864 DEL 18 MAGGIO 2011



PROCESSO CIVILE – NOTIFICAZIONE A PIU’ PARTI DELL’ATTO DI CITAZIONE O DI APPELLO – TERMINE DI COSTITUZIONE DELL’ATTORE O DELL’APPELLANTE – INDIVIDUAZIONE
Risolvendo una questione di massima di particolare importanza, le SU – confermando l’indirizzo giurisprudenziale consolidato a partire dal 1997 – affermano che, in caso di notificazione a più parti, il termine di dieci giorni entro il quale l’attore (ai sensi dell’art. 165 cod. proc. civ.) o l’appellante (ai sensi dell’art. 347 cod. proc. civ., che alla prima disposizione fa rinvio) devono costituirsi, decorre dalla prima notificazione, non dall’ultima. Nel pervenire a questa conclusione, le SU premettono una considerazione di metodo. Rilevano che “se la formula del segmento di legge processuale, la cui interpretazione è nuovamente in discussione, è rimasta inalterata, una sua diversa interpretazione non ha ragione di essere ricercata e la precedente abbandonata, quando l’una e l’altra siano compatibili con la lettera della legge, essendo da preferire – e conforme ad un economico funzionamento del sistema giudiziario – l’interpretazione sulla cui base si è, nel tempo, formata una pratica di applicazione stabile. Soltanto fattori esterni alla formula della disposizione di cui si discute – derivanti da mutamenti intervenuti nell’ambiente processuale in cui la formula continua a vivere, o dall’emersione di valori prima trascurati – possono giustificare l’operazione che consiste nell’attribuire alla disposizione un significato diverso”.
SENTENZA N. 8491 DEL 14 APRILE 2011



COMUNIONE E CONDOMINIO - ASSEMBLEA DEI CONDOMINI - DELIBERAZIONI - IMPUGNAZIONI - FORMA - CITAZIONE - FONDAMENTO
Le Sezioni Unite della Cassazione, componendo un contrasto interno alla Seconda Sezione, hanno affermato che le impugnazioni delle delibere dell'assemblea condominiale, in applicazione della regola generale dettata dall'art. 163 cod. proc. civ., vanno proposte con citazione, non disciplinando l'art. 1137 cod. civ. la forma di tali impugnazioni.

Testo Completo:
COMUNIONE E CONDOMINIO - ASSEMBLEA DEI CONDOMINI - DELIBERAZIONI - IMPUGNAZIONI - FORMA - CITAZIONE - FONDAMENTO.

Le Sezioni Unite della Cassazione, componendo un contrasto interno alla Seconda Sezione, hanno affermato che le impugnazioni delle delibere dell'assemblea condominiale, in applicazione della regola generale dettata dall'art. 163 cod. proc. civ., vanno proposte con citazione, non disciplinando l'art. 1137 cod. civ. la forma di tali impugnazioni.

Sentenza n. 8491 del 14 aprile 2011

(Sezioni Unite Civili, Presidente P. Vittoria, Relatore E. Bucciante)
SENTENZA N. 11963 DEL 31 MAGGIO 2011



OCCUPAZIONE APPROPRIATIVA - MANCATO COMPLETAMENTO DELL'OPERA - RESTITUZIONE DEL BENE AL PRIVATO - AMMISSIBILITA' - FONDAMENTO
L’occupazione per fini di pubblica utilità non seguita da espropriazione determina, comunque, l’acquisto della proprietà in capo alla P.A. dell’area occupata al momento della sua irreversibile trasformazione e nei limiti della parte trasformata; tuttavia, ove risulti che l’opera programmata non sia stata completata e sia provato che è sopravvenuto un difetto di interesse della P.A. nel perseguimento dell’obiettivo inizialmente delineato, può essere accolta la domanda del privato volta alla restituzione dei beni occupati, che realizza la reintegrazione in forma specifica del pregiudizio subito, alla luce della previsione dell’art. 2058 del codice civile.

Testo Completo:
Sentenza 31 maggio 2011, n. 11963

(Sezioni Unite Civili, Presidente R. Preden, Relatore C. Piccininni
CONTRATTO ATIPICO DI VITALIZIO ALIMENTARE: È POSSIBILE LA RISOLUZIONE PER INADEMPIMENTO?

Cassazione, Sez. II, 5 maggio 2010, n. 10859



È legittimamente configurabile, in base al principio dell’autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 cod. civ., un contratto atipico di cosiddetto “vitalizio alimentare”, autonomo e distinto da quello, nominato, di rendita vitalizia di cui all’art. 1872 stesso codice, sulla premessa che i due negozi, omogenei quanto al profilo della aleatorietà, si differenziano perché nella rendita alimentare, le obbligazioni dedotte nel rapporto hanno ad oggetto prestazioni assistenziali di dare prevalentemente fungibili (e quindi, assoggettabili, quanto alla relativa regolamentazione, alla disciplina degli obblighi alimentari dettata dall’art. 433 cod. civ.), mentre nel vitalizio alimentare le obbligazioni contrattuali hanno come contenuto prestazioni (di fare e dare) di carattere accentuatamente spirituale e, in ragione di ciò, eseguibili unicamente da un vitaliziante specificatamente individuato alla luce delle sue proprie qualità personali, con la conseguenza che a tale negozio atipico è senz’altro applicabile il rimedio della risoluzione per inadempimento di cui all’art. 1453 cod. civ., espressamente esclusa, per converso, con riferimento alla rendita vitalizia



Cassazione, Sez. II, 5 maggio 2010, n. 10859

(Pres. Schettino – Rel. Bursese)





Svolgimento del processo



Con atto notificato in data 22.06.99 N.D.B. conveniva avanti al tribunale di Sala Consilina - sezione distaccata di Sapri - L.R. chiedendo la risoluzione del contratto di vitalizio alimentare da questi stipulato con atto pubblico del omissis con il proprio defunto coniuge V.C.. Precisava che in virtù di tale contratto il C. aveva ceduto la nuda proprietà della propria abitazione al R. che, a sua volta si era obbligato a provvedere a tutte le esigenze vita natural durante del cedente e della di lui moglie N.D.B. (assistenza morale e materiale, vestiario, cure mediche, medicinali, spese funerarie e di sepoltura). Nello stesso accordo era stato convenuto che nel caso in cui il R. non avesse prestato assistenza e comunque, si fosse reso inadempiente a uno solo degli obblighi assunti nei confronti del cedente e della di lui moglie N.D.B., entrambi i beneficiari avrebbero potuto domandare la risoluzione del contratto. Aggiungeva che nel omissis il R. - che in realtà non aveva mai onorato gli impegni assunti - veniva colpito da ictus cerebrale, con conseguente sopravvenuta impossibilità ad eseguire le prestazioni convenute.

Si costituiva il R. che contestava la domanda attrice deducendo di avere sempre adempiuto personalmente ai propri obblighi finché le condizioni di salute glielo avevano consentito, dopodiché ciò era stato fatto dai suoi familiari; in subordine proponeva domanda riconvenzionale con la quale chiedeva la condanna dell’attrice al pagamento delle somme corrispondenti alle prestazioni erogate in favore della medesima e del suo defunto coniuge, anche in qualità di erede di quest’ultimo.

Il giudice adito, previo espletamento dell’istruttoria, con sentenza non definitiva n. 28/02 dell’11.07.02, pronunciava la risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione e, per l’effetto, ordinava al R. di rilasciare l’immobile nella disponibilità della D.B., nella qualità di erede del marito V.C..

Avverso la sentenza proponeva appello il R. eccependo il vizio di ultrapetizione per la restituzione dell’immobile all’attrice quale erede, (che non era di sua proprietà), laddove la stessa non aveva agito in proprio quale terza beneficiaria del contratto; riteneva altresì l’insussistenza dei presupposti di applicabilità di cui all’art. 1463 c.c.

Resisteva l’appellata chiedendo il rigetto dell’impugnazione.

L’adita Corte d’Appello di Salerno, con la sentenza n. 876/2002 depos. in data 10.3.2004, in accoglimento dell’appello, rigettava la domanda proposta dalla D.B. nei confronti del R., compensando le spese processuali. Secondo la corte territoriale l’attrice non aveva alcun titolo per richiedere la risoluzione del contratto vitalizio alimentare; neppure quale erede del C. sia perché non aveva agito in tale veste, sia in quanto non poteva ritenersi proprietaria dell’immobile, escluso dalla comunione legale, atteso che con la morte dell’usufruttuario si era verificato il definitivo consolidamento dell’usufrutto in favore del cessionario; riteneva infine non provata l’impossibilità sopravvenuta quale causa di risoluzione del contratto, essendo stata evidenziata “in concreto solo una mera attuale difficoltà a rendere quella parte strettamente personale dell’assistenza”.

Ricorre per cassazione avverso tale decisione la D.B. sulla base di 5 motivi; resiste con controricorso l’intimato.



Motivi della decisione



Con il primo motivo del ricorso, l’esponente denunzia la violazione e falsa applicazione di norme di legge. Circa la propria legittimazione ad agire negata dalla Corte d’appello, la ricorrente osserva che la stessa le competeva sia perché nel contratto era prevista il suo diritto a richiedere la risoluzione (...“i medesimi potranno domandare la risoluzione del contratto”...); sia quale beneficiaria di un contratto stipulato in suo favore; sia infine in qualità di unica erede dello stipulante V.C., come peraltro riconosciuto dalla stessa controparte.

La doglianza appare fondata.

Intanto, come ha rilevato il tribunale, la D.B. era legittimata ad agire quale terzo beneficiario del contratto, che come tale viene ad acquistare, per effetto della stipulazione in suo favore, un diritto autonomo e non solo un mero vantaggio.

Secondo la S.C. “nel contratto a favore di terzo, il diritto del terzo è autonomo rispetto a quello dello stipulante e può, pertanto, essere fatto valere contro il promittente anche in via diretta, senza necessità dell’intervento in giudizio dello stipulante, facendo valere nei confronti di quegli il diritto alla realizzazione del suo credito”. (Cass. n. 23844 del 18/09/2008). Peraltro nello stesso contratto di vitalizio alimentare, le parti avevano espressamente previsto il diritto della D.B. ad agire verso il R.L. per la risoluzione del contratto stesso (...“Per effetto della stipulazione la stessa D.B.N. ha diritto di richiedere direttamente al cessionario le prestazioni di cui sopra...”).

Si osserva ancora che la D.B. era parimenti legittimata a proporre l’azione di risoluzione del contratto anche nell’ulteriore qualità di erede dello stipulante deceduto. Peraltro lo stesso R., ha riconosciuto in D.B.N. tale qualità di erede ed ha spiegato nei suoi confronti domanda riconvenzionale perché essa fosse condannata “in proprio e nella qualità di erede di C.V.” al pagamento di un’indennità per le prestazioni erogate in loro favore. (v. comparsa di risposta giudizio di 1° grado).

Con il 2° motivo del ricorso, l’esponente denunzia la violazione degli artt. 1256, 1411, 1455,1463, 1877 e 2697 c.c., nonché l’insufficiente e contraddittoria motivazione. Con riguardo al requisito dell’impossibilità sopravvenuta ad eseguire la prestazione, osserva la ricorrente che era pacifico che il R. era stato colpito da ictus cerebrale che lo aveva invalidato in modo assoluto, anche con riferimento alla natura particolare del contratto concluso; la mancata esecuzione anche per un breve periodo di tali prestazioni comportava la risoluzione del contratto, stante il carattere infungibile delle prestazioni stesse. Pertanto la Corte territoriale “...sul punto aveva perpetrato una chiara ed evidente falsa applicazione delle norme di riferimento, valutando semplicisticamente il carattere personale della prestazione assunta dal R., da una parte; ed omettendo di comparare gli effetti prodotti da tale mancata prestazione anche per un breve periodo nei confronti della D.B.”. La corte salernitana ha infatti immotivatamente affermato che l’impossibilità del R. consisteva in una “mera attuale difficoltà a rendere quella parte strettamente personale di assistenza”, quando ex actis emergeva “che tale mera difficoltà era durata per almeno sei anni”. D’altra parte la difesa del R. che nel giudizio di primo grado aveva pacificamente ammesso l’incapacità del medesimo, avrebbe dovuto allegare nel giudizio d’appello la prova del suo contrario.

La doglianza è fondata.

La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel ritenere “legittimamente configurabile, in base al principio dell’autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 cod. civ., un contratto atipico di cosiddetto “vitalizio alimentare”, autonomo e distinto da quello, nominato, di rendita vitalizia di cui all’art. 1872 stesso codice, sulla premessa che i due negozi, omogenei quanto al profilo della aleatorietà, si differenziano perché nella rendita alimentare, le obbligazioni dedotte nel rapporto hanno ad oggetto prestazioni assistenziali di dare prevalentemente fungibili (e quindi, assoggettabili, quanto alla relativa regolamentazione, alla disciplina degli obblighi alimentari dettata dall’art. 433 cod. civ.), mentre nel vitalizio alimentare le obbligazioni contrattuali hanno come contenuto prestazioni (di fare e dare) di carattere accentuatamente spirituale e, in ragione di ciò, eseguibili unicamente da un vitaliziante specificatamente individuato alla luce delle sue proprie qualità personali, con la conseguenza che a tale negozio atipico è senz’altro applicabile il rimedio della risoluzione per inadempimento di cui all’art. 1453 cod. civ., espressamente esclusa, per converso, con riferimento alla rendita vitalizia” (Cass. n. 8854 del 08/09/1998; Cass. n. 7033 del 29/05/2000). Stante il carattere infungibile delle prestazioni caratterizzate dall’intuitu personae, le stesse erano eseguibili unicamente da un vitalizzante specificamente individuato alla luce delle sue qualità personali (nella fattispecie, L.R. ), per cui non ha rilievo la circostanza da lui dedotta (contestata ex adversis) secondo cui i suoi familiari avevano provveduto ad assicurare ad entrambi i coniugi quanto previsto nel contratto di vitalizio in questione, né varrebbe ad escludere l’impossibilità, assoluta ed oggettiva. della prestazione cui si era obbligato lo stesso R..

Con il 3° motivo deduce la violazione degli artt. 583 c.c., 1453,1463, 2697 c.c. omessa o insufficiente motivazione; critica la Corte territoriale che aveva ritenuto di escludere “in via teorica ogni possibile trasferimento del bene in capo alla D.B., in qualità di erede, anche qualora la stessa avesse in tal veste agito processualmente...”, non valutando che la risoluzione del contratto reintegrava l’immobile ceduto nel patrimonio del C. e quindi della D.B. quale sua unica erede, così come previsto dall’art. 583 c.c.

Con il 4° motivo del ricorso, l’esponente denunzia la insufficiente o motivazione e la violazione di legge, con riguardo alla statuizione relativa alla domanda di rilascio dell’immobile che non sarebbe stata formulata dall’attrice (vizio di ultrapetizione in cui sarebbe incorso il tribunale). Contesta l’assunto del giudice d’appello secondo cui la D.B. aveva chiesto nell’atto introduttivo, come unica conseguenza della risoluzione, il solo risarcimento del danno, ciò che sarebbe in contrasto con il principio giuridico ex art. 1463 c.c.

Entrambe le censure - congiuntamente esaminate essendo connesse - sono fondate.

Invero la pronuncia di risoluzione per inadempimento, ai sensi dell’art. 1458 c.c. ha effetto retroattivo tra le parti; nel caso di risoluzione per impossibilità sopravvenuta, ai sensi dell’art. 1463 c.c. “la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta non può chiedere la controprestazione e deve restituire quella che ha già ricevuta secondo le norme relative alla ripetizione dell’indebito”. Nella fattispecie la restituzione dell’immobile - già nel possesso della D.B. quale erede del C. e quale beneficiaria delle prestazioni dedotte nel contratto - era solo un effetto automatico della pronuncia di risoluzione del contratto, né risulta che l’attrice - come sostiene la corte - si fosse limitata nell’atto introduttivo a domandare solo il risarcimento del danno come unica conseguenza della risoluzione stessa.

Conclusivamente devono ritenersi fondati i motivi esaminati, assorbita la 5ª censura, ciò che comporta l’accoglimento del ricorso, con la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio della causa, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte d’Appello di Napoli.



P.Q.M.



la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte d’Appello di Napoli.