Il Palazzo di Giustizia di S. Maria C. Vetere

mercoledì 10 ottobre 2012

La riforma Fornero in tema di licenziamento

Il nuovo processo «d’urgenza»: il primo grado di giudizio. Innanzitutto una doverosa precisazione: il nuovo procedimento trova applicazione solo rispetto ai licenziamenti che rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 18 Stat. lav. (e dunque intimati da datori di lavoro provvisti di precisi requisiti occupazionali, nonché per i licenziamenti discriminatori o comunicati oralmente, indipendentemente dal dato occupazionale). Ciò premesso, l’art. 1, comma 48, della Riforma prevede che per i giudizi instaurati dopo l’entrata in vigore della legge, purché relativi a «l’impugnativa dei licenziamenti [....] anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione dei rapporti di lavoro» e «salvo che (domande diverse) siano fondate sugli identici fatti» sia proposta, entro i 180 giorni successivi all’impugnazione del recesso (solo per i recessi comunicati dopo il 18 luglio 2012, mentre per quelli precedenti rimane il vecchio termine di 270 giorni), domanda giudiziale con un ricorso provvisto dei «requisiti di cui all’articolo 125 c.p.c.» e, dunque, privo di alcuna ragione di diritto o – peggio ancora - mezzo istruttorio. Il Giudice dovrà fissare udienza entro i 40 giorni successivi assegnando un termine per la notifica (anche a mezzo posta elettronica certificata) del ricorso non inferiore a 25 giorni prima dell’udienza, con onere per il resistente di costituirsi entro i 5 giorni precedenti l’udienza di discussione. In tale ultima occasione lo stesso Giudice, «omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili richiesti dalle parti o disposti d’ufficio» ex art. 421 c.p.c. Il giudizio viene deciso con ordinanza immediatamente esecutiva, la cui efficacia non può essere sospesa né revocata fino alla pronuncia della sentenza di «secondo grado». Il secondo grado di giudizio. Avverso tale provvedimento la parte soccombente può proporre opposizione con un ricorso «vecchio stile», ossia ex art. 414 c.p.c., innanzi al medesimo Tribunale che la ha emessa (e dunque probabilmente, nei Tribunali più piccoli, davanti allo stesso Giudice) entro 30 giorni dalla notificazione del provvedimento o dalla sua comunicazione, se anteriore. In assenza di alcuna espressa preclusione (presente invece per il successivo reclamo), sembra possibile ritenere che entrambi le parti potranno in questo secondo grado richiedere nuovi mezzi istruttori o formulare nuove domande, a condizione che «siano fondate sugli stessi fatti costitutivi o siano svolte nei confronti di soggetti rispetto ai quali la causa è comune o dai quali si intende essere garantiti». La relativa udienza deve essere fissata entro i successivi 60 giorni con onere per l’opposto di costituirsi – con memoria ex art. 416 c.p.c. - entro i 10 giorni che precedono l’udienza. Anche in questo caso il Giudice, sentite le parti ed omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti istruttori, all’esito dei quali provvede con sentenza la cui motivazione deve essere depositata in cancelleria entro i 10 giorni successivi. Il terzo grado di giudizio. Ma non è finita qui. Contro tale sentenza, la parte soccombente può proporre «reclamo» (istituto tipico del procedimento cautelare) innanzi alla Corte di Appello, entro i 30 giorni successivi alla comunicazione o alla notificazione, se anteriore. In questa fase non sono ammessi nuovi mezzi di prova e documenti «salvo che il collegio, anche d’ufficio, li ritenga indispensabili ai fini della decisione ovvero la parte dimostri di non aver potuto proporli in primo grado per causa ad essa non imputabile». La Corte di Appello deve fissare l’udienza entro i successivi 60 giorni nella quale può, ricorrendo gravi motivi, sospendere l’efficacia della sentenza reclamata. Anche la Corte di Appello è libera di procedere «nel modo che ritiene più opportuno» agli eventuali adempimenti istruttori, all’esito dei quali si pronuncia con sentenza da depositarsi entro i successivi dieci giorni. La Cassazione. Infine, contro quest’ultima sentenza può essere proposto ricorso alla Corte di Cassazione entro i 60 giorni successi alla notifica e/o comunicazione del provvedimento (sei mesi in ipotesi di mancata notifica o comunicazione), la quale deve fissare l’udienza di discussione entro i 6 mesi successivi alla proposizione del ricorso. La Riforma precisa che l’eventuale richiesta di sospensione dell’efficacia della sentenza di «secondo» grado deve essere richieste alla Corte di Appello.

PREVIDENZA (ASSICURAZIONI SOCIALI) – PRESCRIZIONE – DELLE PRESTAZIONI – SOSPENSIONE DEL TERMINE

Le Sezioni Unite Civili hanno stabilito, con specifico riguardo all'indennità di maternità, ma componendo un contrasto di portata generale, che la prescrizione delle prestazioni assistenziali e previdenziali è sospesa, oltre che durante il tempo di formazione del silenzio rifiuto sulla richiesta all'istituto ex art. 7 della legge n. 533 del 1973, anche durante il tempo di formazione del silenzio rigetto sul ricorso amministrativo condizionante la procedibilità della domanda giudiziale ex art. 443 cod. proc. civ., vigendo una regola di settore, conforme ai principi costituzionali di equità del processo ed effettività della tutela giurisdizionale, per cui la prescrizione non corre durante il tempo di attesa incolpevole dell'assicurato. Sentenza n. 5572 del 6 aprile 2012 (Sezioni Unite Civili, Presidente P. Vittoria - Relatore G. Amoroso)

CONTRATTI - AZIONE DI RISOLUZIONE - RILEVABILITA' D'UFFICIO DELLA NULLITA' - AMMISSIBILITA'

Componendo un contrasto di giurisprudenza, le S.U. hanno enunciato il seguente principio di diritto: “Il giudice del merito ha il potere di rilevare, dai fatti allegati e provati o emergenti ex actis, ogni forma di nullità non soggetta a regime speciale e, provocato il contraddittorio sulla questione, deve rigettare la domanda di risoluzione, volta ad invocare la forza del contratto. Pronuncerà con efficacia idonea al giudicato sulla questione di nullità ove, anche a seguito di rimessione in termini, sia stata proposta la relativa domanda. Nell’uno e nell’altro caso dovrà disporre, se richiesto, le restituzioni”. Sentenza n. 14828 del 4 settembre 2012 (Sezioni Unite Civili, Presidente P. Vittoria, Relatore P. D'Ascola)

PROCEDIMENTO CIVILE - AVVOCATO ESERCITANTE FUORI DALLA CIRCOSCRIZIONE DEL TRIBUNALE CUI E' ASSEGNATO - ELEZIONE DI DOMICILIO EX LEGE PRESSO LA CANCELLERIA DEL GIUDICE - CONDIZIONI - MANCATA INDICAZIONE DELL'INDIRIZZO DI POSTA ELETTRONICA CERTIFICATA COMUNICATO ALL'ORDINE - CONFIGURABILITA'

La Sezioni Unite Civili Civili hanno affermato che l'art. 82 del r.d. 22 gennaio 1934, n. 37, relativo alla domiciliazione ex lege dell’avvocato esercente il proprio ufficio fuori della circoscrizione del tribunale di assegnazione, trova applicazione anche nel caso in cui il giudizio sia in corso innanzi alla corte d'appello e l'avvocato risulti essere iscritto ad un ordine di un tribunale diverso da quello nella cui circoscrizione ricade la sede della corte d'appello. Tuttavia, a partire dalla data di entrata in vigore delle modifiche degli artt. 366 e 125 cod. proc. civ., apportate dall’art. 25 della legge 12 novembre 2011, n. 183, tale domiciliazione ex lege può conseguire soltanto ove il difensore non abbia indicato l'indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine. Sentenza n. 10143 del 20 giugno 2012 (Sezioni Unite Civili, Presidente P. Vittoria, Relatore G. Amoroso)

COMUNIONE - LOCAZIONE DELLA COSA COMUNE DA PARTE DI UNO DEI COMPROPRIETARI GESTIONE D'AFFARI - CONFIGURABILITA' - DIRITTO DEL COMPROPRIETARIO NON LOCATORE DI ESIGERE I CANONI LOCATIVI DAL CONDUTTORE - NECESSITA' DEL CONTRADDITTORIO CON IL COMPROPRIETARIO LOCATORE

Le Sezioni Unite Civili hanno affermato che la locazione della cosa oggetto di comunione da parte di uno dei comproprietari rientra nell’ambito della gestione di affari ed è soggetta alle regole di tale istituto, sicché, nel caso di gestione non rappresentativa, il comproprietario non locatore può ratificare l’operato del gestore ed esigere dal conduttore, nel contraddittorio con il comproprietario locatore, la quota dei canoni proporzionata alla rispettiva quota di proprietà indivisa. Sentenza n. 11135 del 4 luglio 2012 (Sezioni Unite Civili,, Presidente P. Vittoria, Relatore S. Petitti)

CONTRATTI - AZIONE DI RISOLUZIONE - RILEVABILITA' D'UFFICIO DELLA NULLITA' - AMMISSIBILITA'

Componendo un contrasto di giurisprudenza, le S.U. hanno enunciato il seguente principio di diritto: “Il giudice del merito ha il potere di rilevare, dai fatti allegati e provati o emergenti ex actis, ogni forma di nullità non soggetta a regime speciale e, provocato il contraddittorio sulla questione, deve rigettare la domanda di risoluzione, volta ad invocare la forza del contratto. Pronuncerà con efficacia idonea al giudicato sulla questione di nullità ove, anche a seguito di rimessione in termini, sia stata proposta la relativa domanda. Nell’uno e nell’altro caso dovrà disporre, se richiesto, le restituzioni”. Sentenza n. 14828 del 4 settembre 2012 (Sezioni Unite Civili, Presidente P. Vittoria, Relatore P. D'Ascola)

DIVISIONE - DIVISIONE GIUDIZIALE - PROGETTO DI DIVISIONE DEL GIUDICE ISTRUTTORE - CONTESTAZIONI – PRONUNCIA – REGIME IMPUGNATORIO

Risolvendo una questione di massima di particolare importanza, le S.U. hanno affermato che, in tema di scioglimento di comunioni, l'ordinanza con cui il giudice istruttore dichiara esecutivo il progetto di divisione, in presenza di contestazioni, ha natura di sentenza ed è quindi impugnabile con l’appello. Nel caso deciso, peraltro, le S.U. hanno ritenuto ammissibile il ricorso straordinario per cassazione, in quanto proposto dalla parte in base all’orientamento giurisprudenziale consolidato all’epoca della sua formulazione. Sentenza n. 16727 del 2 ottobre 2012 - Sezioni Unite Civili, Presidente P. Vittoria, Relatore S. Petitti

IMPIEGO PUBBLICO - CONCORSI – DIRITTO DEL VINCITORE ALL’INQUADRAMENTO PREVISTO NEL BANDO

Risolvendo una questione di massima di particolare importanza, le S.U. hanno affermato che, in tema di impiego pubblico privatizzato, il diritto del candidato vincitore ad assumere l’inquadramento previsto dal bando di concorso, espletato dalla P.A. per il reclutamento dei propri dipendenti, è subordinato alla permanenza, al momento dell’adozione del provvedimento di nomina, dell’assetto organizzativo degli uffici in forza del quale il bando era stato emesso. Sentenza n. 16728 del 2 ottobre 2012 S- ezioni Unite Civili, Presidente L.A. Rovelli, Relatore G. Mammone

venerdì 14 settembre 2012

È il funzionario a rispondere del contratto non approvato dall'ente

Il contratto stipulato dall'ente locale "in difetto di una valido impegno di spesa" non può essere riferito al Comune. E ciò proprio "per l'invalidità dell'impegno assunto senza la necessaria copertura finanziaria". In questi casi, dunque, rimane esperibile unicamente l'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori e funzionari dell'ente. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, sentenza 14785/2012, confermando la sentenza della corte di Appello di Palermo e respingendo la richiesta di pagamento a titoli di corrispettivo, per un contratto stipulato nel 1997, di oltre 300milioni di lire da parte di una società di riscossione dei tributi. Bocciata in particolare la doglianza secondo cui sarebbe illegittima la disposizione del Testo unico enti locali (Dlgs 267/2012) laddove prevede che sia il soggetto privato a farsi carico della verifica della corretta registrazione contabile dell'impegno di spesa nel capitolo di bilancio dell'ente. La suprema Corte, infatti, richiamando la Consulta (sentenze 446/1995 e 295/1997), ricorda come tale passaggio legislativo fu introdotto con la finalità di "sollecitare un più rigoroso rispetto dei principi di legalità e correttezza" ed "assicurare che la competenza ad esprimere la volontà degli enti locali resti riservata agli organi a ciò deputati". Da qui la considerazione per cui "gli atti di acquisizione di beni e servizi senza delibera autorizzativa e relativa copertura finanziaria solo apparentemente sono riconducibili all'ente pubblico". In tali casi, infatti, si realizza "una frattura del nesso organico con l'apparato pubblico (che fra l'altro il terzo contraente non dovrebbe ignorare)" che "vale ad impedire di ricondurre la fattispecie agli schemi di responsabilità dell'amministrazione". Del resto, conclude la Corte, l'ente neppure successivamente ha provveduto a riconoscere la legittimità del debito fuori bilancio, per cui la nullità del contratto non è mai stata sanata e dunque "il rapporto obbligatorio intercorreva unicamente tra il terzo contraente e il funzionario o l'amministratore che aveva autorizzato la prestazione

giovedì 13 settembre 2012

Esecuzione Forzata relativa a PA ed a enti pubblici - Spatium adimplendi - Atto prodrominco all'esecuzione (precetto) - Opposizione all'esecuzione - Fondatezza - Rif.Leg. art. 1 L 742/69; art. 147 L 388/00; art. 44 DL 269/03 (conversione L 326/03); art. 615 cpc

Occorre stabilire, in particolare, se tale termine debba essere osservato anche per la notifica del precetto, oppure se sia sufficiente, come sostenuto dal giudice di prime cure, che sia intimato il pagamento per un tempo successivo ai 120 giorni dalla notifica del titolo esecutivo, non essendo rilevante che, come è avvenuto nel caso di specie, la notifica del precetto avvenga prima della scadenza di tale termine. La norma in questione, introdotta dall'art.14 del d.l. 31.12.1996 n.669, conv. in legge 28.02.1998 n.30, che aveva inizialmente previsto il termine di 60 giorni dalla notifica del titolo esecutivo, poi elevato a 120 giorni con la legge n.388/2000, è volta a consentire, con il differimento dell'esecuzione, che le amministrazioni dello Stato e gli enti pubblici non economici completino le procedure per l'esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali e dei lodi arbitrali aventi efficacia esecutiva e comportanti l'obbligo di pagamento di somme di denaro, concedendo loro "uno spatium adimplendi per l'approntamento dei mezzi finanziari occorrenti al pagamento dei crediti azionati, perseguendo, così, lo scopo di evitare il blocco dell'attività amministrativa derivante dai ripetuti pignoramenti di fondi, contemperando in tal modo l'interesse del singolo alla realizzazione del suo diritto con quello, generale, ad una ordinata gestione delle risorse finanziarie pubbliche" (in tal senso, Corte Cost. n.142/1998). Il tenore letterale dell'art. 14 d.l. n.669/1996, come successivamente modificato dall'art.147 l. n.388/2000, invero, prevedendo il rispetto del termine di 120 giorni per l'inizio dell'esecuzione forzata e per il compimento degli atti esecutivi, sembrerebbe escludere dal proprio ambito di applicazione il precetto, non essendo, quest'ultimo, un atto esecutivo bensì un atto prodromico all'esecuzione (vd. per tutte, Cass. n.19966/2005 cit.; n.11170/2002). Tuttavia, come sostenuto recentemente dalla giurisprudenza di legittimità, il termine di 120 giorni previsto dall'art.147 l.n.388/2000, deve intercorrere, alla luce della suddetta norma, anche tra la notifica del titolo esecutivo e la notifica dell'atto di precetto. Fino a quando, infatti, tale termine, il quale costituisce una condizione legale di efficacia del titolo esecutivo, non sia scaduto, risulta impossibile giuridicamente notificare il precetto, in quanto quest'ultimo presuppone l'efficacia esecutiva del titolo a fondamento del quale viene fatto valere (Cass. n.19966/2005 cit.). Tale interpretazione è avvalorata anche dalla recente modifica normativa introdotta dall'art. 44, comma III, del d.l. 30.09.2003, n.269, conv. in legge 24.11.2003 n. 326, che, con un'interpretazione autentica del testo dell'art. 14 d.l. n. 669/1996, ha espressamente previsto che, prima del termine di 120 giorni dalla notifica del titolo esecutivo, il creditore non possa procedere ad esecuzione forzata né alla notifica dell'atto di precetto. TRIBUNALE CIVILE DI BOLOGNA - SEZIONE SECONDA - Sentenza n. 2608/06,pronunziata il 30/05/2006, depositata il 14/11/2006.

Giudizio di ottemperanza - decreto ingiuntivo non opposto - ammissibilità

Giudizio di ottemperanza - decreto ingiuntivo non opposto - ammissibilità TAR Napoli, Sez. V, 15 dicembre 2005 / 14 giugno 2006, n. 6994 (Pres. D'Alessandro, rel. Palatiello) Se il decreto ingiuntivo divenuto esecutivo per mancata opposizione nei termini di legge ha valore di cosa giudicata, esso -quando, ovviamente, sia stato pronunciato nei confronti di una pubblica amministrazione, ovvero nei confronti di un soggetto privato che sia tenuto, in forza del giudicato, al compimento di un’attività implicante esercizio di potestà pubbliche (concessionario di pubblica funzione o di pubblico servizio) cfr.: Cons. Stato, Sez. IV^, 29 ottobre 2001, n. 5624- consente al creditore, a fronte dell’inadempimento del debitore pubblico, di adire il Giudice Amministrativo in sede di ottemperanza ex artt. 37 e 3 L. n. 1034 del 1971 e 27, n. 4, T.U. n. 1054 del 1924, al pari di ciò che avviene nel caso di sentenze di condanna dell’A.G.O. passate in giudicato (cfr., ex multis, TAR Puglia, Bari, Sez. I^, 3 aprile 2003, n. 1573; 12 ottobre 1999, n. 1298; TAR Campania, Napoli, Sez. V^, 4 luglio 2003, n.8016; Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., 14 aprile 2003, n. 156; Cons. Stato, Sez. IV^, 31 maggio 2003, n. 3031; Cons. Stato, Sez. V^, 24 febbraio 2003, n. 982).
COMUNIONE - LOCAZIONE DELLA COSA COMUNE DA PARTE DI UNO DEI COMPROPRIETARI GESTIONE D'AFFARI - CONFIGURABILITA' - DIRITTO DEL COMPROPRIETARIO NON LOCATORE DI ESIGERE I CANONI LOCATIVI DAL CONDUTTORE - NECESSITA' DEL CONTRADDITTORIO CON IL COMPROPRIETARIO LOCATORE Le Sezioni Unite Civili hanno affermato che la locazione della cosa oggetto di comunione da parte di uno dei comproprietari rientra nell’ambito della gestione di affari ed è soggetta alle regole di tale istituto, sicché, nel caso di gestione non rappresentativa, il comproprietario non locatore può ratificare l’operato del gestore ed esigere dal conduttore, nel contraddittorio con il comproprietario locatore, la quota dei canoni proporzionata alla rispettiva quota di proprietà indivisa. Sentenza n. 11135 del 4 luglio 2012 (Sezioni Unite Civili,, Presidente P. Vittoria, Relatore S. Petitti)
SANZIONI AMMINISTRATIVE - APPLICAZIONE - OPPOSIZIONE - PROCEDIMENTO – APPELLO - FORMA DELL’ATTO INTRODUTTIVO DEL GIUDIZIO DI IMPUGNAZIONE – CITAZIONE O RICORSO – CONSEGUENZE IN ORDINE ALLA TEMPESTIVITÀ DEL GRAVAME - RIMESSIONE ALLE SEZIONI UNITE La Seconda Sezione Civile, ravvisandone il carattere di questione di massima di particolare importanza, ha rimesso alle Sezioni Unite di pronunciarsi in ordine alla forma che debba assumere l’atto di appello avverso sentenza in tema di opposizione a sanzioni amministrative, nonché alle conseguenze dell’eventuale erronea proposizione, mediante ricorso o mediante citazione, ai fini della valutazione di tempestività dell’impugnazione. Cassazione Civile: Ordinanza interlocutoria 7 settembre 2012, n. 14986
CONTRATTO PRELIMINARE - ESECUZIONE IN FORMA SPECIFICA DI PRELIMINARE DI VENDITA IMMOBILIARE - SOTTOSCRIZIONE DEL CONTRATTO DA PARTE DI ENTRAMBI I CONIUGI IN COMUNIONE LEGALE - NECESSITA' - ESCLUSIONE - SUSSISTENZA DEL CONSENSO - SUFFICIENZA - CONSEGUENZE IN CASO DI MANCANZA DEL CONSENSO Ai fini dell’esecuzione in forma specifica di un preliminare di vendita immobiliare non è necessaria la sottoscrizione del contratto da parte di entrambi i coniugi in comunione legale ma è sufficiente il consenso dell’altro coniuge e la mancanza del suo consenso si traduce in un vizio da far valere ai sensi dell’art. 184 cod. civ., nel rispetto del principio generale di buona fede e dell’affidamento, nel termine di un anno decorrente dalla conoscenza dell’atto o dalla data di trascrizione. Testo Completo: Cassazione Civile, Sentenza n. 12923 del 24 luglio 2012

mercoledì 11 aprile 2012

La presupposizione nel diritto civile - sentenza

In tema di rapporti giuridici sorti da contratto, la cosiddetta "presupposizione" deve intendersi come figura giuridica che si avvicina, da un lato, ad una particolare forma di "condizione", da considerarsi implicita e, comunque, certamente non espressa nel contenuto del contratto e, dall'altro, alla stessa "causa" del contratto, intendendosi per causa la funzione tipica e concreta che il contratto è destinato a realizzare; il suo rilievo resta dunque affidato all'interpretazione della volontà contrattuale delle parti, da compiersi in relazione ai termini effettivi del negozio giuridico dalle medesime stipulato. Deve pertanto ritenersi configurabile la presupposizione tutte le volte in cui, dal contenuto del contratto, si evinca che una situazione di fatto, considerata, ma non espressamente enunciata dalle parti in sede di stipulazione del medesimo, quale presupposto imprescindibile della volontà negoziale, venga successivamente mutata dal sopravvenire di circostanze non imputabili alle parti stesse, in modo tale che l'assetto che costoro hanno dato ai loro rispettivi interessi venga a trovarsi a poggiare su una base diversa da quella in forza della quale era stata convenuta l'operazione negoziale, così da comportare la risoluzione del contratto stesso ai sensi dell'art. 1467 c.c. (Nella specie, era stata esperita, dai proprietari del canale di carico di un mulino, domanda di pagamento dei relativi canoni nei confronti dell'affittuario consorzio di bonifica e avevano rigettato la domanda sia il primo che il secondo giudice, quest'ultimo, in particolare, avendo applicato l'art. 1463 c.c. sul presupposto che il consorzio doveva ritenersi liberato dalla propria prestazione perché, a causa dell'erosione del letto del fiume, si era creato un dislivello tale, rispetto alla originaria imboccatura del canale, da rendere questo non più adatto a captare l'acqua dal fiume; la S.C. ha confermato la sentenza correggendone la motivazione sulla base dell'enunciato principio di diritto, in quanto la situazione di fatto "presupposta" dai contraenti nella formazione del loro consenso, pur in mancanza di un espresso riferimento ad essa nelle clausole contrattuali, doveva identificarsi nella possibilità materiale di immissione dell'acqua derivata dal consorzio nel canale di carico del mulino, possibilità venuta meno già da tempo per effetto dell'erosione del letto del fiume). (Cassazione civile sez. III 24 marzo 2006 n. 6631)

Cassazione: chiedere un sequestro per un diritto verosimilmente prescritto comporta responsabilità aggravata

Chiedere un sequestro conservativo per un diritto verosimilmente prescritto comporta una condanna per responsabilità processuale aggravata. E'quanto afferma la corte di cassazione (seconda sezione civile sentenza n. 4443/2012) che si è occupata di una vicenda in cui è stato richiesto di accertare la responsabilità aggravata ex articolo 96 del codice di procedura civile in capo a dei condomini che avevano chiesto il sequestro conservativo ai danni di un costruttore per tutelare un presunto diritto di credito dovuto ad asseriti vizi costruttivi. La Suprema Corte, rilevando che il diritto risultava verosimilmente prescritto, ha ritenuto che vi fosse una grave negligenza nell'aver chiesto la misura cautelare. La vicenda ha avuto origine dal ricorso presentato dai condomini di alcuni edifici con cui si chiedeva l'autorizzazione ad un sequestro conservativo fino alla concorrenza di euro 400.000,00 nei confronti della ditta costruttrice per tutelare un presunto diritto di credito che a loro dire sarebbe nato da difetti di ricostruzione sugli immobili condominiali. Il ricorso veniva però rigettato con condanna al pagamento di una somma di Euro 3.500 a titolo di responsabilità aggravata. I condomini proponevano reclamo ottenendo una parziale modifica del provvedimento: veniva esclusa la condanna per responsabilità aggravata e per il resto veniva confermato il provvedimento impugnato con l'integrale compensazione delle spese relative alla fase di reclamo. Il caso finiva poi in cassazione La corte ha fatto notare come l'insussistenza dei presupposti dell'invocata misura cautelare a tutela di un credito, riconducibile all'articolo 1669 del codice civile, ed in particolare del "fumus" della pretesa, essendo verosimilmente fondata l'eccepita prescrizione, rende legittima la condanna dei reclamanti per responsabilità aggravata in quanto "conseguente alla loro soccombenza in ordine al provvedimento cautelare richiesto, essendo stata sottolineata la grave negligenza dei predetti Condominii nell'aver introdotto una istanza di autorizzazione al sequestro conservativo fino alla concorrenza della somma di euro 400.000,00 a cautela di un diritto verosimilmente prescritto".

Cassazione: chiedere un sequestro per un diritto verosimilmente prescritto comporta responsabilità aggravata

Chiedere un sequestro conservativo per un diritto verosimilmente prescritto comporta una condanna per responsabilità processuale aggravata. E'quanto afferma la corte di cassazione (seconda sezione civile sentenza n. 4443/2012) che si è occupata di una vicenda in cui è stato richiesto di accertare la responsabilità aggravata ex articolo 96 del codice di procedura civile in capo a dei condomini che avevano chiesto il sequestro conservativo ai danni di un costruttore per tutelare un presunto diritto di credito dovuto ad asseriti vizi costruttivi. La Suprema Corte, rilevando che il diritto risultava verosimilmente prescritto, ha ritenuto che vi fosse una grave negligenza nell'aver chiesto la misura cautelare. La vicenda ha avuto origine dal ricorso presentato dai condomini di alcuni edifici con cui si chiedeva l'autorizzazione ad un sequestro conservativo fino alla concorrenza di euro 400.000,00 nei confronti della ditta costruttrice per tutelare un presunto diritto di credito che a loro dire sarebbe nato da difetti di ricostruzione sugli immobili condominiali. Il ricorso veniva però rigettato con condanna al pagamento di una somma di Euro 3.500 a titolo di responsabilità aggravata. I condomini proponevano reclamo ottenendo una parziale modifica del provvedimento: veniva esclusa la condanna per responsabilità aggravata e per il resto veniva confermato il provvedimento impugnato con l'integrale compensazione delle spese relative alla fase di reclamo. Il caso finiva poi in cassazione La corte ha fatto notare come l'insussistenza dei presupposti dell'invocata misura cautelare a tutela di un credito, riconducibile all'articolo 1669 del codice civile, ed in particolare del "fumus" della pretesa, essendo verosimilmente fondata l'eccepita prescrizione, rende legittima la condanna dei reclamanti per responsabilità aggravata in quanto "conseguente alla loro soccombenza in ordine al provvedimento cautelare richiesto, essendo stata sottolineata la grave negligenza dei predetti Condominii nell'aver introdotto una istanza di autorizzazione al sequestro conservativo fino alla concorrenza della somma di euro 400.000,00 a cautela di un diritto verosimilmente prescritto".

Cassazione: mancata valutazione dei rischi? I contratti a termine diventano a tempo indeterminato

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 5241 del 2 aprile 2012, ha affermato che "La clausola di apposizione del termine al contratto di lavoro da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni (NDR: attualmente il dlgs 626/1994 è stato sostituito dal "Testo unico sulla salute e sicurezza sui luoghi lavoro" D.lgs 81/2008), è nulla per contrarietà a norma imperativa e il contratto di lavoro si considera a tempo indeterminato". In particolare la Suprema Corte, accogliendo il ricorso di un lavoratore a tempo determinato che contestava l'assenza della valutazione dei rischi e chiedeva l'assunzione a tempo indeterminato, ha precisato che - alla luce dell'art. 3 del D.Lgs n. 368 del 2011 (che introduce una serie di divieti all'apposizione del termine al contratto di lavoro subordinato) -, "la valutazione dei rischi assurge a presupposto di legittimità del contratto, trovando la ratio legis nella più intensa protezione dei rapporti di lavoro sorti mediante l'utilizzo di contratti atipici, flessibili e a termine, ove incidono aspetti peculiari quali la minor familiarità del lavoratore e della lavoratrice sia con l'ambiente di lavoro sia con gli strumenti di lavoro a cagione della minore esperienza e della minore formazione, unite alla minore professionalità e ad un'attenuata motivazione". L'ordinamento esprime il proprio disvalore verso l'inosservanza degli adempimenti in tema di sicurezza dei luoghi di lavoro vietando al datore di lavoro, che la valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori non abbia effettuato, di stipulare il contratto di lavoro a termine con la conseguenza che il termine eventualmente apposto risulta nullo per contrarietà ad una norma imperativa. Tale nullità comporta la nullità dell'opzione contrattuale relativa all'ipotesi derogatoria (contratto di lavoro a termine) e la validità, invece, del contratto di lavoro secondo la regola generale del contratto di lavoro a tempo indeterminato. Quanto alle conseguenze della conversione, i giudici di legittimità, affermano l'applicabilità delle norme del cd. collegato lavoro (L. 183/2010). Ne consegue, pertanto, la condanna del datore di lavoro al pagamento in favore del lavoratore di una somma compresa fra le 2,5 e le 12 mensilità a titolo di indennità omnicomprensiva come una sorta di penale stabilita dalla legge - in stretta connessione funzionale con la declaratoria di conversione del rapporto di lavoro - a carico del datore di lavoro per la nullità del termine apposto al contratto di lavoro e determinata dal giudice nei limiti e con i criteri dettati dalla legge, a prescindere sia dall'esistenza del danno effettivamente subito dal lavoratore, sia dalla messa in mora del datore di lavoro, con carattere "forfetizzato", "onnicomprensivo" di ogni danno subito per effetto della nullità del termine, nel periodo che va dalla scadenza dello stesso fino alla sentenza che ne accerta la nullità e dichiara la conversione del rapporto.

Corte Costituzionale decorrenza della prescrizione per la ripetizione degli interessi anatocistici

Con l'attesa sentenza n.78 pubblicata il 05 aprile 2012, la Corte Costituzionale ha sciolto il nodo relativo alla illegittimità costituzionale dell'art.2 comma 61 del decreto legge n.225 del 29.12.2010 coordinato con le modifiche apportate con la legge di conversione n.10 del 26.2.2011. Tenendo conto delle censure mosse alla norma dai diversi Tribunali remittenti e considerate le difese svolte dagli Istituti di credito coinvolti nelle singole vicende processuali, la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di entrambi i periodi di cui si compone l'art.2 comma 61 della legge di conversione del cosiddetto decreto mille proroghe.

Dopo aver esaminato i contrapposti orientamenti giurisprudenziali relativi alla decorrenza del termine di prescrizione decennale della ripetizione dell'indebito per interessi anatocistici, la Corte si è soffermata sulla sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n.24418 del 2011 che, come abbiamo avuto modo di osservare, ribadisce che il contratto di conto corrente bancario determina l'instaurazione di un rapporto unitario e, dunque, il termine decennale di prescrizione per la ripetizione dell'indebito decorre dalla sua chiusura. Tuttavia, la citata sentenza precisa che è fatto salvo il caso dei versamenti in conto corrente che hanno carattere solutorio cioè che costituiscono un pagamento, per la cui ripetizione, invece, è necessario agire in giudizio entro dieci anni a partire dalla loro annotazione.

Secondo la Corte Costituzionale, le Sezioni Unite della Cassazione hanno fornito un' interpretazione dell'art.2935 c.c. che non lascia spazio ad ulteriori dubbi. Pertanto, la norma dell'art.2 comma 61 della legge n.10 del 2011 che si auto qualifica di interpretazione dell'art.2935 c.c. e ha efficacia retroattiva viola il canone generale della ragionevolezza posto dall'art.3 Cost. Infatti, essa è intervenuta sull'art.2935 c.c. in assenza di una situazione di oggettiva incertezza del dato normativo. Né la soluzione fatta propria dal legislatore con la norma in esame può essere considerata una possibile variante di senso del testo dell'art.2935 c.c.. Essa, piuttosto, tende a derogare senza alcuna giustificazione alla disposizione codicistica. A ciò si aggiunga che l'efficacia retroattiva della deroga riduce irragionevolmente l'arco temporale disponibile per l'esercizio dei diritti nascenti dal rapporto di conto corrente bancario, pregiudicando la posizione dei correntisti che avevano già avviato azioni di ripetizione dell'indebito.

L'art.2 comma 61 della legge n.10 del 2011, quindi, è costituzionalmente illegittimo in quanto non rispetta i principi generali di eguaglianza e ragionevolezza di cui all'art.3 Cost.

La Corte aggiunge che la norma in esame contrasta anche con l'art.6 CEDU. Tale disposizione assurge a parametro costituzionale in virtù del disposto dell'art.117 I comma Cost e sancisce il principio della preminenza del diritto e il concetto di equo processo. In virtù di tali principi il potere legislativo può ingerirsi nell'amministrazione della giustizia con norme retroattive che influenzano l'esito giudiziario di una controversia solo per motivi imperativi d'interesse generale. Nel caso di specie, tuttavia, la Corte Costituzionale non ravvisa alcuno di tali motivi; pertanto l'art.2 comma 61 della legge n.10 del 2011 violi l'art.117 I comma Cost., in relazione all'art.6 CEDU.

L'illegittimità costituzionale del primo periodo della norma travolge anche il secondo periodo ove si legge "In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto legge".Infatti i due periodi sono strettamente connessi l'uno all'altro.

A questo punto, dunque, con riferimento ai conti correnti bancari troverà applicazione l'art.2935 c.c. nell'interpretazione resa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n.24418 del 2010 e, ai fini della decorrenza del termine decennale di prescrizione della ripetizione dell'indebito, si dovrà distinguere i versamenti ripristinatori da quelli solutori. Per i primi, il termine decorrerà dalla chiusura del conto mentre solo per i secondi il termine decorrerà dall'annotazione. (da Dott.ssa Alfonsina Biscardi - www.tesiindiritto.com)

Compravendita immobiliare: Cassazione, in caso di intervento di più mediatori, tutti hanno diritto alla provvigione

In tema di mediazione (artt. 1754 c. c. e seg.), con sentenza n. 4228, depositata il 16 marzo 2012, la Corte di Cassazione ha ricordato che quando l'affare si è conscluso con l'intervento di più mediatori, congiunto o distinto, concordato o autonomo, in base allo stesso o più incarichi, ognuno dei mediatori ha diritto a una quota della provvigione. E' quanto emerge dal disposto dell'art. 1758 c.c.. Naturalmente, spiega la Corte occorre accertare l'efficacia causale dell'apporto di cuascun mediatore. Secondo la corte basta che ciascun mediatore sia sia giovato dell'apporto utile degli altri, limitandosi a integrarlo in modo da non potersi negare un nesso di concausalità tra i vari separati interventi e la conclusione dell'affare e sempre che si sia trattato in ogni caso dello stesso affare sotto il profilo oggettivo e soggettivo. Citando un precedente (la sentenza della stessa Cassazione del 18 marzo 2005, n. 5952) la Corte ha precisato che, in riferimento al caso di specie, "l'accertamento dell'efficacia causale dell'attività del singolo mediatore nella conclusione dell'affare è accertamento di fatto che non è sindacabile in sede di legittimità, quando sorretto da motivazione adeguata e non contraria e norma di legge". Confermando la decisione della Corte di Appello, la Suprema Corte ha quindi, rigettato il ricorso con cui una snc e due soci della stessa, avevano cercato di ribaltare il verdetto emesso in grado di appello. I giudici territoriali, rigettando l'appello principale e l'incidentale proposto dal titolare di una impresa immobiliare, avevano confermato la decisione del Tribunale di condanna a corrispondere l'indennità di provvigione per la compravendita di un capannone industriale

giudice non ammette CTU? La sentenza può essere censurata sotto il profilo dell'omessa o insufficiente motivazione

Quando il giudice, nonostante la richiesta della parte, non ha voluto nominare un consulente d'ufficio, la mancata nomina può essere censurata in Cassazione sotto il profilo della omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia. È quanto afferma la sesta sezione civile della Corte (sentenza n. 5264/2012) facendo notare però che ciò è possibile solo nel caso in cui la consulenza sia l'unico possibile mezzo di accertamento di un fatto determinante per la decisione. Secondo i giudici di Piazza Cavour è anche necessario che sussistano i presupposti per disporre la consulenza tecnica d'ufficio e che l'esito dell'accertamento peritale sia idoneo ad incidere sulla risoluzione della controversia. Ricordiamo che la possibilità per il giudice di richiedere l'intervento di un esperto e disciplinata dall'articolo 61 del codice di procedura civile. In base a tale norma "quando è necessario, il giudice può farsi assistere, per il compimento di singoli atti o per tutto il processo, da uno o più consulenti di particolare competenza tecnica". In precedenza la stessa Cassazione (sez. lav. sentenza n. 9379/2010) aveva stabilito, richiaamando a sua volta altri precedenti giurisprudenziali, che "il giudizio sulla necessità o utilità di fare ricorso alla consulenza tecnica d'ufficio rientra nel potere discrezionale del giudice del merito e, se adeguatamente motivato in relazione al punto di merito da decidere, non può essere sindacato in sede di giudizio di legittimità; con la ulteriore precisazione che la motivazione, sia in ordine alla ammissione della consulenza che al diniego della stessa, può anche essere implicitamente desumibile dal complesso delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato, effettuate dal suddetto giudice". (da Studio Cataldi)

lunedì 27 febbraio 2012

Gli interessi del 10 per cento applicati sulle contravvenzioni rendono nulle le cartelle in cui viene chiesto di pagare le vecchie contravvenzioni. Lo stabilisce una sentenza della Cassazione che fino a oggi è stata quasi ignorata la n. 3701 del 16 Luglio del 2007

C'è una sentenza, datata febbraio 2007, che potrebbe annullare le sanzioni di migliaia di cartelle di Equitalia. Una sentenza della Corte di Cassazione per anni introvabile anche nei database giuridici più forniti. Una pronuncia che, almeno sulla carta, segna un piccolo gol a favore dei debitori del fisco, dichiarando "illegittime" le sanzioni che la società di riscossione applica sulle multe e sulle ammende amministrative. A partire dalle infrazioni del codice della strada.

Per cinque anni, da quando cioè la Cassazione s'è pronunciata, nessuno ne ha mai sentito parlare. Fino a quando un avvocato di Bari, Vito Franco, ha deciso di andare in fondo alla vicenda. Abbonato a una delle più prestigiose banche dati giuridiche private d'Italia si mette a dare la caccia alla sentenza fantasma. Eppure anche negli archivi telematici per i professionisti non trova alcun riscontro.

Quel pronunciamento fantasma sembra non esistere. La ricerca si trasferisce online, fra siti, blog giuridici, forum di discussione fra fiscalisti. Anche qui niente. L'unica soluzione è andare a Roma e spulciare negli archivi cartacei della Suprema Corte. E così, si mette a scartabellare fra mucchi di carte alti come armadi. E alla fine ecco che spunta la sentenza annulla-sanzioni. E' stata depositata in Cassazione il 16 luglio 2007. Porta il numero di protocollo 3701. E parla chiaro: gli interessi del 10 per cento semestrale applicati da Equitalia sono illegittimi.

Una pretesa del fisco, insomma, che i giudici contestano, spiegando che non è diritto dello Stato incassare quella specie di tassa sulle multe. Eppure, anche di fronte a una decisione del genere, dal 2007 a oggi Equitalia ha continuato ad applicare il rincaro: "Non è cambiato nulla. Le maggiorazioni continuano a essere presenti in tutte le cartelle relative alle sanzioni amministrative", spiega l'avvocato Franco. Proprio come risulta da centinaia di cartelle esattoriali. Gli esempi possono essere molti. Una, ad esempio, chiede la riscossione di 13.561 euro per un cumulo di multe non pagate.

Ecco che nel conto di Equitalia ben 3.292 euro di maggiorazioni, secondo la sentenza della Cassazione, sarebbero "illegittime". Un caso molto diffuso, visto che gli automobilisti in debito con il fisco sono una percentuale piuttosto alta dei "clienti" di Equitalia: "A occhio e croce potrebbero rappresentare il 30 per cento delle cartelle emesse", spiega il legale, che fa da consulente anche a un'associazione di tutela dei consumatori, l'Assdac di Bari, che negli ultimi anni ha presentato oltre 3.500 ricorsi.

A fare due conti le sanzioni "irregolari" creano maggiorazioni di milioni di euro, soldi che non sarebbero dovuti, secondo la Cassazione. Che sul "no" alla sovrattassa del 10 per cento parla chiaro: in caso di ritardo nel pagamento della sanzione, va applicata "l'iscrizione a ruolo della sola metà del massimo edittale e non anche degli aumenti semestrali del 10 per cento. Aumenti, pertanto, correttamente ritenuti non applicabili".
ORDINANZA INTERLOCUTORIA N. 702 DEL 18 GENNAIO 2012



PROCEDIMENTO CIVILE - NOTIFICAZIONE - AL PROCURATORE
a Sezione Lavoro ha rimesso al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, la questione interpretativa circa il disposto dell’art. 82 del r.d. n. 37 del 1934, che impone al procuratore, esercente in un giudizio fuori della “circoscrizione del tribunale” cui è assegnato, di eleggere domicilio nel luogo dove ha sede il giudice, poiché altrimenti si intende eletto domicilio presso la cancelleria, essendo controverso se tale elezione di domicilio “ex lege” valga soltanto per il giudizio di primo grado (salvo il caso del procuratore esercente fuori distretto) oppure anche ai fini dell’impugnazione (ai fini, cioè, della notifica della sentenza per il decorso del termine breve e della notifica dell’atto di gravame).

Testo Completo:
Ordinanza interlocutoria n. 702 del 18 gennaio 2012

(Sezione Lavoro, Presidente P. Stile - Estensore G. Mammone)
RISARCIMENTO DANNI – DANNO MORALE – DISTINZIONE DAL DANNO BIOLOGICO – CONFIGURABILITA’
La distinzione tra la fattispecie del danno morale, da intendersi come “voce” integrante la più ampia categoria del danno non patrimoniale, e quella del cd. danno biologico trova rinnovata espressione anche nel D.P.R. 3 marzo 2009, n. 37, con la conseguenza che da essa il giudice del merito non può prescindere nella liquidazione dei danni da illecito civile.

Testo Completo:
Sentenza n. 18641 del 12 settembre 2011

(Sezione Terza Civile, Presidente M. R. Morelli, Relatore G. Travaglino)
PROCEDIMENTO CIVILE – RISARCIMENTO DEL DANNO - FRAZIONAMENTO DELLA DOMANDA DELLE DIVERSE VOCI DI DANNO - ABUSO DEL PROCESSO - CONSEGUENZE - IMPROPONIBILITA' DELLA DOMANDA


CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE - SENTENZA 22 dicembre 2011, n.28286

MASSIMA. I principi di buona fede e di correttezza, per la loro ormai acquisita costituzionalizzazione in rapporto all'inderogabile dovere di solidarietà di cui all'art. 2 Cost., costituiscono un canone oggettivo ed una clausola generale che non attiene soltanto al rapporto obbligatorio e contrattuale, ma che si pone come limite all'agire processuale nei suoi diversi profili. Il criterio della buona fede costituisce, quindi, strumento, per il giudice, atto a controllare, non solo lo statuto negoziale nelle sue varie fasi, in funzione di garanzia del giusto equilibrio degli opposti interessi, ma anche a prevenire forme di abuso della tutela giurisdizionale latamente considerata, indipendentemente dalla tipologia della domanda concretamente azionata.

2. Va esclusa la possibilità di "parcellizzazione" della tutela processuale dell'azione extracontrattuale per i danni materiali e personali da circolazione stradale, davanti al giudice di pace ed al tribunale in ragione delle rispettive competenze per valore, quando le conseguenze dannose derivanti dal fatto illecito si siano puntualmente e definitivamente verificate.

3. La disarticolazione dell'unico rapporto sostanziale nascente dallo stesso fatto illecito, oltre ad essere lesiva del generale dovere di correttezza e buona fede, con l'aggravamento della posizione del danneggiante-debitore, per essere attuata con ed attraverso il processo, si risolve anche in un abuso dello strumento processuale.
IMPUGNAZIONI CIVILI – CITAZIONE DI APPELLO – MANCANZA DELL'AVVERTIMENTO DI CUI ALL'ART. 163, TERZO COMMA, N. 7, COD. PROC. CIV. - NULLITA' - LIMITI - LESIONE DEL DIRITTO DI DIFESA - SPECIFICAZIONE - NECESSITA'
La Sez. II, ponendosi in consapevole contrasto con un precedente orientamento della S.C., ha affermato che, nell’ipotesi in cui venga proposto ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 n.4 cod. proc. civ. da parte dell’appellato contumace in secondo grado per l’omesso avvertimento relativo alle conseguenze della costituzione tardiva, di cui all'art. 163, terzo comma, n. 7, cod. proc. civ., nell’atto di citazione di appello, notificato al difensore costituito in primo grado, non si determina un “error in procedendo” sanzionato dalla nullità del procedimento di secondo grado e dal conseguente rinvio per la rinnovazione della citazione in appello, quando il ricorrente non sia in grado neppure di indicare quale pregiudizio al proprio diritto di difesa sia derivato da tale omissione, non potendosi ravvisare, in tale ipotesi una concreta violazione dei principi regolatori del giusto processo anche ai sensi dell’art. 360 bis n. 2 cod. proc. civ.

Testo Completo:
Sentenza n. 30652 del 30 dicembre 2011

(Sezione Seconda Civile, Presidente S. Petitti, Relatore P. D’Ascola)
APPALTO PUBBLICO - ART. 38, COMMA 1, LETTERA F), DEL D.LGS. N. 163 DEL 2006 - VALUTAZIONE DI INAFFIDABILITA' DA PARTE DELLA STAZIONE APPALTANTE
- AMPIA DISCREZIONALITA' - SINDACATO DA PARTE DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO - LIMITI - ADOZIONE DEL CRITERIO DELLA "NON CONDIVISIONE" - SUPERAMENTO DEI LIMITI ESTERNI DELLA GIURISDIZIONE
In tema di appalti pubblici le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con due sentenze in pari data, hanno affermato che il Consiglio di Stato eccede dai limiti della propria giurisdizione, sconfinando nella sfera della discrezionalità amministrativa, qualora – in relazione all’impugnazione di provvedimenti di esclusione dalla possibilità di partecipare ad un bando di gara per inaffidabilità dell’appaltatore – li annulli sulla base della non condivisione degli elementi posti dalla P.A., senza ravvisare la pretestuosità di tale valutazione.

Testo Completo:
Sentenza n. 2313 del 17 febbraio 2012

(Sezioni Unite Civili, Presidente R. Preden, Relatore L. Macioce)
COMPETENZA – COMPETENZA PER MATERIA - IMPUGNAZIONE DEL PROVVEDIMENTO DI FERMO AMMINISTRATIVO – RELATIVO A CREDITI DI NATURA NON TRIBUTARIA – COMPETENZA DEL TRIBUNALE
Le Sezioni Unite hanno ritenuto che nel caso in cui sia impugnato un provvedimento di fermo amministrativo (o anche un semplice “preavviso) relativo a crediti non di natura tributaria sia competente, ratione materiae, sempre il tribunale, in virtù della natura esecutiva del provvedimento in discussione.

Testo Completo:
Sentenza n. 20931 del 12 ottobre 2011

(Sezioni Unite Civili, Presidente P. Vittoria, Relatore M. D'Alonzo)


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IMPUGNAZIONI CIVILI – RICORSO PER CASSAZIONE – DEPOSITO DI ATTI
In tema di giudizio per cassazione, l'onere del ricorrente, di cui all'art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, "gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda" è soddisfatto, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale essi siano contenuti e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d'ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione di detto fascicolo presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell'art. 369, terzo comma, cod. proc. civ. (ferma, in ogni caso, l'esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366, n. 6, cod. proc. civ., degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi).

Testo Completo:
Sentenza n. 22726 del 3 novembre 2011

(Sezioni Unite Civili, Presidente P. Vittoria, Relatore A. Amatucci)
PREVENTIVO LEGALE non più obbligatorio - Dietrofront del Governo

Caro Zibaldone, pare saltato l'obbligo (ai miei occhi inesigibile) di preventivo scritto per i professionisti. Il compenso sarà pattuito con un "preventivo di massima"; è stato lo stesso Governo Monti a fare retromarcia. Ancora, scompare an ...

Fonte: Studiocataldi.it

Url: http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_11553.asp
ISTANZA DI TRATTAZIONE ABOLITA!!! - Una vittoria - Niente più estinzione o rinuncia all'impugnazione

Caro Zibaldone, non credo ai miei occhi! Domenica girovagavo per il sito istituzionale del Parlamento quando ha attirato la mia attenzione la Legge di conversione del Decreto Legge n.10 del 17 febbraio 2012 che prevede che l'art. 26 della l ...

Fonte: Studiocataldi.it

Url: http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_11550.asp
RISARCIMENTO MICROPERMANENTI - 'lesioni di lieve entità che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo' - Commento a prima lettura

Quella che segue vuol essere più una carrellata-flash che una disamina analitica degli emendamenti al Decreto sulle liberalizzazioni che hanno infilato la sorpresa. Ancora frammentarie le news sull'incerto destino delle lesioni personali mi ...

Fonte: Studiocataldi.it

Url: http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_11547.asp